Testimonianze

Eravamo abituati ad essere circondati dai quadri di Pina, da quando varcammo per la prima volta la soglia dell’accogliente appartamento di Pina e Nino in Via Calamandrei, ormai 12 anni fa, non avendo ancora la minima idea di quanto è vera la diaspora culturale di questo piccolo paese. Certamente notavamo i quadri e gli schizzi e ne abbiamo parlato spesso, guardandoli sempre e di nuovo. Ma devo dire che ha avuto ragione Heike, mia moglie, quando disse dopo il vernissage di sabato scorso: «Sai, ho notato veramente solo ora la grande qualità delle opere di Pina.» Perché era come vederle per la prima volta, fuori dall’ambiente famigliare, esposte come si deve, notando allora raffinatezze di cui prima era molto più difficile accorgersi per l’immensa quantità delle opere, una accanto all’altra. Colpisce soprattutto la leggerezza della pennellata accompagnata da tanta sicurezza e rigore formale, e certamente anche i colori. Conoscendo bene Palermo e Catania, nei quadri riconoscevamo sempre il conosciuto, con cui sentivamo familiarità, ma poi quasi sempre anche qualcosa di sconosciuto, di perso con gli anni, gesti, movimenti e sguardi, che ormai sono scomparsi o quasi. In questo senso i quadri di Pina sono anche documenti (storici-attuali) e inviti a riflettere sulla scomparsa di mondi nel nostro stressato odierno.

Chiedevamo ogni tanto a Pina perché non dipingesse più. Ma la risposta era piuttosto secca. Quanto grande allora lo stupore e la gioia quando riprese in mano i pennelli quasi due anni fa (e quando cercavamo i colori giusti a Catania, all’inizio senza trovarli!). Da allora abbiamo potuto assistere a quel recupero graduale di forza e leggerezza nel mettere sulla tela quello che a Pina importa e che ha in mente. Ne viene fuori sempre quel mondo che sta andando perso, anche se si tratta di un “semplice” limone non standardizzato secondo i dettami di Bruxelles. Anche se magari è nato come un “dipingere per terapia”, non credo che sia tutto lì. Ho l’impressione che Pina sentisse il dovere di riattaccare e di cercare il legame con i quadri e la passione di decenni fa. Ed è riuscita soprattutto negli ultimi quadri (non esposti) a riallacciarsi alle sue fasi anteriori. Perché quello che poi salta agli occhi, è il movimento, lo sguardo sicuro del momento fluido, spesso di pochi millisecondi. Si nota più chiaramente negli schizzi, abbozzati sul momento, ma anche nei quadri ad olio. Il movimento del vento e della natura ad esempio che afferra anche la cromia che diventa parte del movimento.

Mi sento felice e grato certamente di aver trovato una cara amica per la vita, che si sa però esprimere dipingendo come pochi e non solo in questa grande diaspora. Certo, ci vorrebbe una vera antologica, in uno spazio più grande e più adeguato. Ma forse sabato ne abbiamo potuto degustare solo l’aperitivo. Mi auguro che sia solo l’inizio di questa fase, che ci voleva, perché non mancasse a completare il “quadro” e il cerchio.

(Roman Herzog, caro amico di Pina e documentarista)