Pina Giangreco nasce a Roma il 13 febbraio 1931 da genitori avolesi.
Con la sua famiglia, originaria di Avola, percorre tutta la penisola dai primi anni della sua infanzia per seguire il padre, Ufficiale dell’Esercito, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Dopo gli studi classici, conseguiti a Catania in una Sicilia che inizia a riprendersi dalla Guerra, si iscrive alla facoltà di Lettere classiche all’Università di Catania – che frequenterà per due anni.
Durante quel periodo si fa strada con insistenza la nostalgia per il mondo dell’arte e il desiderio di approfondire la sua ricerca artistica. Pina aveva infatti cominciato a disegnare da bambina, sviluppando da subito un segno grafico più maturo e incisivo rispetto alla sua età; prende così la decisione di sostenere gli esami di ammissione all’Accademia di Belle Arti a Palermo. Era il 1952.
Si trattava di una realtà per me assolutamente sconosciuta. Un’amica palermitana di mia sorella Angela mi mise in contatto con Alba Rizzo, che ancora non sapevo essere la figlia di Pippo Rizzo, allora direttore dell’Accademia di Belle Arti di Palermo. Da subito Alba è stata la mia migliore amica, mi ha aiutata a orientarmi con estremo rispetto fra il mondo dell’arte contemporanea, a me ignoto, e quello della cultura classica che mi aveva formato. Che meraviglia i ricordi di quei pomeriggi a casa di Alba, nella vecchia casa col giardino in via Serradifalco, dove Pippo Rizzo allora aveva il suo studio palermitano e anche quello che restava della sua casa d’arte, con il salottino futurista – scomodo quanto mai! – e il gilet, anch’esso futurista, confezionato dalla sua amatissima compagna di vita, Maria Carramusa. Si parlava d’arte in un’atmosfera assorta e quasi religiosa e di grande rispetto. Intanto, sempre con Alba, andavo alla scoperta di Palermo – da San Giovanni degli Eremiti alla Martorana, alle brioches col gelato di Mazzara, alle merende indimenticabili di pane e panelle… Avevo preso l’abitudine di avere sempre con me un taccuino che riempivo velocemente di schizzi; scoprii di avere un segno sicuro e un po’ ironico che era piaciuto a Pippo Rizzo, il quale mi aveva raccomandato di disegnare senza stancarmi mai. Intanto si andava circoscrivendo il mondo della mia curiosità: bambini che giocano, pensionati che leggono il giornale sullo sfondo di architetture barocche (a volte questi schizzi saranno lo spunto per le mie pitture ad olio). Dalla finestra dell’aula di pittura si vedevano gli archi di Matteo Bonello e la cara via Papireto. Michele Dixit, allora assistente di Pippo Rizzo, è stato per me un maestro sapiente. Tornando ai miei anni di formazione, il mio inserimento nell’ambiente artistico avveniva naturalmente perché erano miei colleghi ragazzi colti e sensibili, ognuno dei quali ha segnato una tappa importante nella cultura artistica degli anni ’50 e ’60 in Sicilia: Pippo Spinoccia, Giacomo Baragli, i fratelli Aldo e Mario Pecoraino, Irma Costa, Totò Bonanno, Pippo Gambino, Santuzza Calì… e naturalmente Alba. E poi c’è stato l’incontro con l’acquaforte e in genere col mondo della stampa d’arte e dell’incisione. Ancora ricordo i pomeriggi del martedì e del giovedì dedicati all’incisione. L’odore degli inchiostri mi aveva conquistato e la sensazione era un po’ quella dell’innamoramento. Il tempo è volato, non dimentico le mattine passate a dipingere a Sferracavallo e all’Isola delle Femmine.
Pina Giangreco si diploma nel 1956 in Pittura sotto la guida di Pippo Rizzo e Michele Dixit. La sua naturale inclinazione per l’espressione grafica, già presente nella prima infanzia e sviluppatasi in seguito con lo studio e la pratica dell’incisione durante la formazione accademica, subisce una botta di arresto in seguito ai cambiamenti personali e professionali che la vita le impone.
Gli anni passavano, Alba e io superammo i concorsi per l’insegnamento, ci siamo sposate, lei con un matematico e io con un filosofo, entrambe siamo diventate madri, i nostri figli crescevano e di arte non si parlava quasi più…
Questo silenzio fu interrotto nel 1977 da uno splendido corso di xilografia tenuto a Urbino dal maestro incisore Pietro Sanchini.
In un attimo è scomparsa la quotidianità e sono sprofondata nella gioia di fare parlare le sgorbie in maniera incisiva e pittorica.
Nel 1996, dopo 30 anni di insegnamento alle scuole medie, Pina Giangreco si ritira a Noto con il marito, il prof. Antonio Brancaforte, illustre filosofo netino, docente universitario a Catania, in occasione del pensionamento del coniuge. Questa tappa coinciderà con l’inizio della lunga malattia del marito, durante la quale entrambi condurranno una vita ritirata, accogliendo così il desiderio del professore di concludere i suoi anni nella città natale.
Nel 2002, se non ricordo male, ci fu a Palermo a Palazzo Ziino una mostra di Michele Dixit; siamo stati felici di ritrovarci ed è stata l’ultima volta che ci vedemmo. Infatti morì poco dopo.
Nel 2016, alcuni mesi dopo la dolorosa morte del marito, Pina Giangreco rompe coraggiosamente il lungo silenzio artistico riprendendo a disegnare e dipingere su suggerimento del suo neurologo, al fine di combattere l’insorgenza del Parkinson.
Rinasce così, attraverso una tecnica personalissima, il mondo del colore, a parziale sostituzione della linea: un ritrovato itinerario verso la pittura, le cui esperienze coloristiche indicano il passaggio dal disegno alla campitura cromatica con una pennellata che – ora anche al servizio della forma – disegna e colora al tempo stesso.